di Emiliano Luzzi
fonte: www.ilfattoquotidiano.it
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Il
problema non è dimettersi, ma come farlo. Avere le garanzie per sé e per le sue
aziende. “Berlusconi”, disse un insospettabile – ma comunque sospettato –
Marcello Dell’Utri, l’architetto di Forza Italia – “si mette a far politica per
salvare le sue aziende”. Fininvest aveva 5 mila miliardi di lire di debito, e
non erano uno scherzo. Con l’amico Craxi sulla via di Hammamet, la formidabile
macchina da guerra che sognava l’allora segretario del Pds Achille Occhetto lo
avrebbe strangolato.
La
situazione, a distanza di 17 anni, si ripete, ma al contrario. Il Cavaliere è
pronto a lasciare, ma vuole garanzie, personali (processi e indagini) e per le
sue aziende. È per questo che il fu re Silvio in queste ore si è blindato ad
Arcore prima di presentarsi al Quirinale. E
attorno al tavolo non ci sono Rubacuori o starlette: ci sono lui, Fedele
Confalonieri, Piersilvio e Marina, i figli che le aziende di casa le guidano.
Non è andare via: Berlusconi lo sa da un pezzo che entro la fine dell’anno
avrebbe dovuto lasciare il governo. L’autunno caldo era paventato già prima
dell’estate.
Poi
ci sono stati Cannes, l’irrigidirsi dei mercati, Angela Merkel e Nicolas
Sarkozy, ma sono eventi. Non fossero stati loro, ci sarebbe stato altro. È
vero, la situazione è precipitata all’improvviso, ma il misurarsi una volta al
mese con quello strumento di conteggio che è la fiducia, non era certo il
termometro di una sua stabilità.
Il
momento è arrivato. Oggi, al massimo domani o tra una settimana, Silvio
Berlusconi lascerà il governo. Manca il metodo. Il vertice di famiglia, allargato
nel tardo pomeriggio all’avvocato Niccolò Ghedini, uscirà con una serie di
richieste. E a Berlusconi, più che il destino personale (ha pur sempre 75 anni,
non è automatico per lui che si aprano le porte di una cella) interessano le
aziende, in particolare l’impero editoriale che da questa stagione esce
massacrato. C’è un problema di credibilità da ricostruire, ma – soprattutto –
un valore economico delle che non è più quello di qualche anno fa. Il suo
gruppo in questi dieci anni è precipitato. Nel 2000 Mediaset, Mediolanum e
Mondadori valevano in Borsa 11,06 miliardi di euro. Oggi il gruppo a Piazza
Affari è stimato poco sopra i 2 miliardi di euro. Ha perso molto di più
rispetto a quanto i mercati in generale abbiano lasciato per strada. Senza
contare quella palla al piede che si chiama Endemol, sulla quale pesano 2,2
miliardi di debito.
Uscire
dal Quirinale senza garanzie vorrebbe dire il massacro imprenditoriale di colui
che si proclamò – e qualcosa da dire ci sarebbe – l’unico e insostituibile
esempio di self made man all’italiana. Ma se l’opposizione non è mai davvero
riuscita a impensierirlo, l’Europa – guidata da due governi di centrodestra pur
diversissimi come il tedesco e il francese – ha già condannato il Cavaliere. La
sentenza sarà eseguita in Italia; nessuno, tanto meno lui, sa come. Ma è stata
pronunciata Oltralpe. Se Berlusconi avesse lasciato un mese fa la strada
sarebbe stata più facile, oggi trovare le garanzie che lui vuole è molto, molto
più difficile. E il Paese non ha più tempo.
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