CIELI BUI - Ecco che cosa nasconde la mossa del governo Monti di spegnere le luci delle città

Tra uno scandalo e l’altro in un periodo di risanamento delle finanze italiane, il governo Monti sta attuando dei provvedimenti che, nei fatti, limitano il potere degli enti locali. Regioni, province e comuni si vedono tagliati fuori da decisioni che, fino ad oggi, erano di loro competenza. È in atto, insomma, una palese centralizzazione del potere, giustificata – a detta del governo Monti –ora per evitare gli scandali di questi giorni, ora per contenere la spesa. La domanda resta, allora, sempre la stessa: è legittimo limitare il potere democratico e pluralista nel nome della crisi? Prendetevi un attimo prima di rispondere e pensate al fatto – non secondario – che “a
chiedercelo è l’Europa”.

Ultima in ordine cronologico è stata la legge di stabilità, la cui bozza è stata presentata pochi giorni fa in Consiglio dei ministri. Tra le norme ne spunta una particolare. “Cieli bui”, l’hanno ribattezzata. Si legge nella bozza governativa: “per finalità di contenimento della spesa pubblica, di risparmio di risorse energetiche, nonché di razionalizzazione ed ammodernamento delle fonti di illuminazione in ambienti pubblici”. Insomma, se il dl dovesse passare come è, avremmo strade meno illuminate. Si dirà: se è per contenere la spesa pubblica ben venga. Vero. Ma è altrettanto vero ricordare che l’illuminazione delle strade è, ovviamente, competenza dei Comuni. Perché obbligare gli enti cittadini a tagliare anche se, mettiamo caso, siamo in presenza di un comune virtuoso che non è in rosso e che, dunque, potrebbe tranquillamente prendere i soldi dalle proprie casse per garantire un’illuminazione soddisfacente? La domanda apre un problema troppo a lungo sottaciuto. Diversi provvedimenti – alcuni dei quali attuati, altri ancora no – presi in questi dodici mesi di governo Monti limano le competenze degli enti territoriali, accentrando tutto nelle mani del governo centrale. Per capirci meglio prendiamo un altro esempio, anche questo molto recente. Dopo i tanti e incredibili scandali che hanno toccato le regioni (sono ben nove quelle i cui conti sono “attenzionati” dalla Guardia di Finanza), il governo Monti ha deciso di mettere mano anche al Titolo V della seconda parte della Costituzione e, più in particolare, ai nove articoli della Carta – modificati in senso federalista nel 2001 – che riconoscono importanti ed autonome competenze alle Regioni. In altre parole, l’obiettivo dell’esecutivo è quello di riportare alcune di queste prerogative in mano allo Stato centrale. Le competenze tirate in ballo non sono affatto di poco conto. La bozza del disegno di legge di riforma allo studio del Consiglio dei ministri riesamina quelle su “porti marittimi e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale, grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia”. Ma non solo. Tra le materie ci sono anche “politica estera e rapporti internazionali della Repubblica; rapporti della Repubblica con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea”. Sarebbe poi stata inserita anche una formula di preminenza: allo Stato sarà affidato “il compito di garante dei diritti costituzionali e dell’unità della Repubblica” “a prescindere dalla ripartizione delle competenze legislative con le Regioni”. Ma ancora. Stando alla bozza, competenza di Roma diventano non solo le funzioni fondamentali, ma anche “la disciplina generale” di Comuni, Province e città metropolitane. Insomma, lo Stato al di sopra di tutto, con in mano tutte le prerogative principali: trasporto, energia, politica estera. Finanche diritti di asilo e comunicazione. Insomma, se la bozza dovesse trovare applicazione, lo Stato diventerebbe centralizzato, con le Regioni addette soltanto a mansioni periferiche. L’unico motivo per cui è stato deciso di riformare la Costituzione è rispondere con fermezza agli scandali dei consigli regionali di cui sentiamo parlare in questi giorni. Lo squilibrio è evidente. Non si può distruggere quanto di pluralista e decentrato esista in Italia perché ci sono consiglieri che “rubano”. Il morbo non è da identificarsi con le strutture democratiche in cui viviamo, ma col modo in cui queste vengono sfruttate per interessi personali. Il morbo non è nel funzionamento formale di Parlamento, Regioni, Province, Comuni, ma nella maniera spregiudicata dei tanti Fiorito, più interessati al proprio bivacco che al benessere del cittadino. Il morbo è nell’involuzione – morale prima ancora che politica – di tanti e tanti uomini politici, non nelle strutture stesse della nostra democrazia. Allora perché riformare nella sostanza la Costituzione, quando basterebbero semplicemente controlli mirati, l’obbligo in toto della pubblicazione dei bilanci, regionali e parlamentari? Eppure, è proprio quello che si sta tentando di realizzare. Agli enti territoriali non rimarranno che competenze limitrofe e secondarie. Si dirà: ma tanto che cambia? Sempre bisogna far riferimento allo Stato. Vero. Così com’è vero, però, che il pluralismo (e con questo il decentramento) è uno dei tratti fondanti di ogni società democratica, in quanto permette e una partecipazione attiva del cittadino in varie forme e vesti (collettivismo) e il controllo proprio dell’operato dell’autorità statale (garantismo). Insomma, va da sé che la centralizzazione corrode il potere democratico e partecipativo di ogni cittadino. Quello che sembra, peraltro, è che da mesi, dietro il velo del “ce lo chiede l’Europa”, siano stati presi provvedimenti, con l’avallo di buona parte del mondo politico, che vanno ad indebolire ulteriormente la già fragile società italiana. Alcuni dati. La disoccupazione giovanile non ha mai toccato cifre così alte (oltre il 35%), nel giro di tre anni oltre 30 mila aziende hanno chiuso i cancelli ed altre probabilmente chiuderanno a breve (sono ben 150 i tavoli aperti al ministero dello Sviluppo Economico), i cassintegrati non sono mai stati così tanti (quasi 700 mila). Ma, nonostante tutto questo, era necessario alzare l’età pensionabile – in barba ai 270 mila esodati ancora non coperti – perché “ce lo chiede l’Europa”. Era necessario cancellare l’articolo 18 perché “ce lo chiede l’Europa”. Erano necessarie le manovre lacrime e sangue perché “ce lo chiede l’Europa”. Fino ad arrivare anche ai provvedimenti di cui abbiamo parlato. A maggior ragione, allora, il rischio di una centralizzazione. Se così dovessero rimanere le cose, se si continuasse su questa strada ci potremmo trovare un giorno con una forte autorità statuale che – ecco il punto – non fa altro che obbedire a Bruxelles e Francoforte. Non fa altro che obbedire a quanto prescritto e richiesto dall’UE, dalla BCE, dal FMI. Semplifichiamo: ci troveremmo ad essere nei fatti governati e amministrati da questi enti sovranazionali. “Il cancro dello Stato si forma anche nel seno delle nostre democrazie. Dal giorno in cui esse hanno disarmato l’individuo di tutti i suoi radicamenti viventi, di tutti i suoi poteri […] la via è aperta verso gli Stati totalitari moderni”. E ancora: “la centralizzazione estende a poco a poco il suo potere […] lo statalismo democratico scivola nello Stato totalitario come il fiume nel mare”. A pronunciare queste parole è stato un uomo ben più autorevole di Mario Monti. Non era, bontà sua, un tecnico. Ma un filosofo. Si chiamava Emmanuel Mounier.

Fonte:  http://www.infiltrato.it/notizie/italia/cieli-bui-ecco-che-cosa-nasconde-la-mossa-del-governo-monti-di-spegnere-le-luci-delle-citta

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