"NE BIS IN IDEM", CUFFARO ASSOLTO IN APPELLO

Assolto dall'accusa di concorso esterno l'ex governatore siciliano, Totò Cuffaro. Per i giudici della corte d'appello di Palermo è già stato processato per gli stessi fatti.


Confermato il ne bis in idem. Totò Cuffaro è stato assolto dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Dopo tre ore di camera di consiglio il verdetto che fa tirare un sospiro di sollievo all'ex governatore. I reati che gli venivano contestati sono uguali, secondo la Corte d'appello presiedutra da Biagio Insacco, a quelli per i quali l'imputato è già stato condannato a sette anni per favoreggiamento aggravato e rivelazione di segreto istruttorio.


Soddisfatto il collegio difensivo. “E' una sentenza che conferma la bontà delle nostre tesi - spiega l'avvocato Marcello Montalbano che difendeva Cuffaro assieme a Nino Caleca, Oreste Dominioni e Nino Mormino -. Speriamo che il proscioglimento in entrami i gradi di giudizio possa servire a scrivere la parola fine alla storia di questo processo”. Processo che lo stesso Cuffaro ha definito “ingiusto”. Molto dipenderà dal procuratore generale Luigi Patronaggio che in maniera pacata si limita a dire “valuteremo con serenità le motivazioni della sentenza per decidere se presentare un eventuale ricorso in Cassazione”.

Fino ad oggi a Totò Cuffaro basta la pena che sta scontando per saldare il conto con la giustizia. Non passa la linea accusatoria che sul piatto aveva messo una serie di elementi definiti nuovi, avanzando una richiesta di condanna a tredici anni di carcere. Richiesta confermata anche stamani nel corso di una breve replica del Pg Patronaggio, secondo cui, "nel processo di primo grado non si è voluto affrontare il nodo del patto politico-mafioso. Oggi non si giudica il cuffarismo e il metodo di occupare gli spazi di potere. Le raccomandazioni nel concorso per sei medici all'ospedale Villa Sofia sono state un piacere fatto al capomafia Guttadauro". Ed ancora: "La gravità dei fatti di questo processo vanno al di la della condanna per favoreggiamento". Il Pg ha citato i rapporti che Cuffaro avrebbe avuto, indirettamente, tramite Michele Aiello, con Bernardo Provenzano e, tramite l'amante di Matteo Messina Denaro che lavorava nella clinica dell'imprenditore bagherese, con il latitante di Castelvetrano.

Ma quali sono le circostanze nuove che avrebbero dovuto confermare i rapporti fra Totò Cuffaro e Cosa nostra e provare l'esistenza di un patto politico-mafioso che serviva per raccogliere voti e fare affari nella sanità.

Innanzitutto c'era un'intercettazione finora inedita. Nel 1998 i carabinieri che indagavano sui alcuni mafiosi delle Madonie registrarono le parole di un indagato. Solo che il nome di Cuffaro venne trascritto in maniera errata dagli investigatori. Ed invece sarebbe stato l'ex governatore, allora assessore regionale all'Agricoltura, il punto di riferimento dei clan madoniti. La rete di talpe in Procura di cui Cuffaro e l'imprenditore della sanità Michele Aiello erano due tasselli fondamentali sarebbe esistita ancor prima che Cuffaro entrasse a Palazzo d'Orleans.

Un'altra circostanza nuova citata dal pg tirava in ballo una storia di tangenti. L'imprenditore messinese, e gola profonda, Antonino Giuliano ha ricostruito gli interessi del boss bagherese Michelangelo Alfano nel mondo della sanità. Alfano progettava di costruire delle cliniche private e per mandare in porto l'affare era pronto a pagare una mega tangente da dieci miliardi di lire al duo Aiello-Cuffaro. L'affare saltò e la mazzetta non sarebbe stata pagata.

Infine, c'era il verbale di Gioacchino Pennino, il pentito che ha ricostruito i perversi legami fra la mafia e la politica. Pennino ha raccontato che alle elezioni comunali di Palermo del 1989 la mafia decise di appoggiare una sfilza di giovani democristiani, tra cui Totò Cuffaro. Attraverso di loro la mafia voleva penetrare nel consiglio comunale del capoluogo siciliano.

"Nessuna prova nuova", hanno replicato i legali della difesa che hanno parlato di “processo nato con un vizio genetico che non può concludersi altrimenti che con un divieto di doppio giudicato". I giudici di appello gli hanno dato ragione ed è arrivata la conferma dell'assoluzione. In caso contrario per il detenuto Cuffaro sarebbe scattato il regime di alta sorveglianza. Più restrittivo e afflittivo di quello a cui oggi è costretto per avere passato notizie di indagini in corso ai boss.


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