Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
Barack Obama, premio Nobel per la Pace, ha dichiarato di “non escludere un attacco militare all’Iran”. Il presidente israeliano Shimon Peres, premio Nobel per la Pace, ha affermato: “L’attacco all’Iran è sempre più vicino”. Perché non diamo anche un bel premio Nobel per la Pace, alla memoria, al vecchio Adolf Hitler?
Quelle
di Obama e di Peres non sono infatti parole al vento. Ai primi di novembre il
giornalista israeliano Nahum Barnea, solitamente ben informato, ha pubblicato i
piani dettagliati degli attacchi che americani, israeliani e inglesi si
appresterebbero a sferrare contro l’Iran. Il governo britannico avrebbe
garantito a Obama sottomarini, missili Tomahawk e, all’occorrenza, l’impiego di
forze speciali sul terreno. Queste notizie sono state riprese dal Guardian e
mai smentite.
In
quegli stessi giorni nella base Nato di Decimomannu, in Sardegna, sei squadroni
di bombardieri israeliani simulavano un attacco a Teheran. Gli israeliani
sembrano infatti intenzionati ad attaccare l’Iran anche da soli. Per ora lo
hanno fatto al dettaglio e al coperto dei servizi segreti. Tre scienziati
iraniani, che lavoravano al nucleare civile, sono stati assassinati da un
commando del Mossad in motocicletta (che putiferio sarebbe successo se questo
terrorismo di Stato fosse stato opera di Teheran contro
cittadini israeliani o
di qualsiasi altro Paese occidentale?).
Che
esistessero questi piani di aggressione era noto da tempo, almeno da un paio di
anni. La novità è la partecipazione degli inglesi e il tentativo di
coinvolgervi olandesi e tedeschi (che han detto di no).
Si
vuol ripetere con l’Iran ciò che si è fatto con la Libia? Se il progetto fosse
questo sarebbe folle. L’Iran non è la Libia. È un grande e colto Paese, di
cento milioni di abitanti, armato modernamente e con ottime relazioni con
Russia e Cina. Si conta forse, come in Libia, sul dissenso interno che
indubbiamente esiste, anche se in proporzioni molto minori di quelle
sbandierate in occidente? Allora vuol dire che non si conosce quel popolo.
Gli
iraniani si sentono innanzitutto dei persiani e, in questo senso, hanno un
sentimento nazionale fortissimo (mi ricordo che quando ero a Teheran un
pasdaran che aveva combattuto lo Scià mi disse: “Eppure non riesco a odiarlo
fino in fondo perché era comunque un persiano”). Un attacco militare all’Iran
ricompatterebbe intorno ad Ahmadinejad anche i suoi nemici più acerrimi.
Inoltre
farebbe saltare il tappo del radicalismo islamico, finora contenuto a stento
dai rispettivi regimi, in tutti i paesi musulmani i cui governi sono alleati
dell’Occidente, dall’Egitto alla Giordania al Marocco.
Il
pretesto per l’attacco verrebbe dal recente rapporto dell’Aiea, l’agenzia
dell’Onu per il controllo del nucleare. Ma questo rapporto non contiene nulla
di nuovo rispetto ai precedenti, dice solo che l’Iran ha una quantità di uranio
arricchito per cui potenzialmente potrebbe costruirsi l’atomica. Ma ciò non
vuol dire affatto che ne abbia l’intenzione e non piuttosto quella di spalmare
l’uranio su più centrifughe rimanendo in quel 20 % di arricchimento necessario
e sufficiente per gli usi civili e medici del nucleare (per la Bomba bisogna
arrivare al 90 %). E nessuna ispezione dell’Aiea ha mai accertato che nei loro
siti nucleari gli iraniani abbiano superato quel limite. Si dice però che
Teheran potrebbe avere dei siti nascosti, sfuggiti agli ispettori dell’Onu.
Con
un simile processo alle intenzioni si potrebbe dichiarare guerra a chiunque,
anche alle Isole Fær Øer. Possibile che l’esperienza irachena (le famose ‘armi
di distruzione di massa’ che non c’erano) non abbia insegnato all’Occidente una
maggior cautela? Oppure la guerra all’Iran serve ai paesi occidentali per
coprire la crisi economica in cui stan sprofondando?
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
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