IL PRESIDENZIALISMO? PER L'ITALIA SI CONFIGURA UNO SCENARIO SUDAMERICANO

"Gli esponenti politici parlano di cose che evidentemente non conoscono. Bisogna capire quale sistema si vuole praticare, con quali contrappesi e garanzie. La nostra cultura politica lo dimostra: per l'Italia è molto alto il rischio che venga fuori un modello autoritario"

Aldo Giannuli
La politica ha deciso: la priorità per l'Italia è il Presidenzialismo. Lo vuole fortemente Berlusconi, che oggi ha sollecitato il governo, sostenendo che "la guerra civile è finita". Anche il premier Letta ha subito assecondato il richiamo del Capo dello Stato, nominando una commissione di 35 saggi che supporteranno il governo nella definizione delle riforme costituzionali.
Ma qual è la ratio con cui si persegue l'obiettivo del presidenzialismo? Quali sono i modelli esistenti di questa forma di governo e quanto questa è davvero dffusa in Europa? Infine, in mancanza di una definizione bilanciata dei necessari contrappesi, quali scenari si configurerebbero per l'Italia? Abbiamo approfondito le questioni col supporto di Aldo Giannuli, docente di Storia contemporanea all'Università Statale di Milano.

"Intanto, di presidenzialismo si parla a sproposito, come se l'unico elemento a determinare un regime parlamentare fosse l'elezione diretta del Capo dello Stato. In realtà, i fattori che definiscono la Costituzione come presidenziale o meno sono diversi, non è soltanto chi elegge il Presidente: il problema sono i poteri che ha il Presidente, l'architettura complessiva del sistema, i contrappesi, i controlli e le garanzie.
Esistono molti regimi presidenziali molto diversi tra di loro, esiste il presidenzialismo francese, dove il governo può essere di colore diverso dal Presidente della Repubblica eletto dal popolo. Esistono sistemi come quello Irlandese o quello austriaco, dove il Presidente, pure eletto dal popolo, ha poteri limitati o
comunque è vissuto come autorità debole.
Esiste il modello americano, degli Stati Uniti, dove c'è un Presidente forte che è insieme Capo dello Stato e del governo, però contrappesato da fortissimi poteri del Parlamento, del Congresso, del Senato e della Corte Suprema ed infine esiste il modello latino americano, che vede dei presidenti forti, capi di esecutivo, con pochissimi contrappesi e pochissime garanzie, e infatti vengono fuori regimi tendenzialmente autoritari. Quindi c'è da capire quale modello vogliamo praticare, tenendo presente che, date le tradizioni della cultura politica di questo Paese, è molto alto il rischio che venga fuori più il modello latino americano che non quello francese o quello nord americano.

Non è vero poi che quello presidenziale sia il sistema in assoluto più diffuso in Europa: il sistema più diffuso in realtà è quello della repubblica parlamentare o della monarchia parlamentare, perché una larga fetta dei paesi europei, tutti i paesi scandinavi, a eccezione della Finlandia, più la Spagna, sono monarchie, quindi in qualche modo non possono che essere regimi parlamentari, a cui si aggiungono repubbliche di tipo parlamentare, come formalmente è ancora sulla carta il caso italiano.

Di fatto, con la presidenza Napolitano si è completato un processo iniziato già con la presidenza Pertini, un Presidente della Repubblica che non è più referente del sistema politico, delle forze politiche, ma che parla direttamente con l'opinione pubblica, da cui riceve forza e legittimazione.
Questo poi si è accentuato fortemente con la presidenza Cossiga e ha toccato il punto più alto con la presidenza Napolitano.
Il Presidente Napolitano più che garante della Costituzione, così come nella Costituzione è scritto, si è posto come garante degli accordi internazionali del Paese, il suo referente è stata piuttosto la BCE.
Lui è stato quello che ha garantito alla BCE e all'Unione Europea che l'Italia avrebbe seguito certe indicazioni nell'interesse della stabilità dell'Euro, quindi in qualche modo abbiamo un Presidente che ha già cambiato funzioni e che è molto più interventista nelle scelte politiche fatte nel paese.
Sostanzialmente questo completa il processo di emarginazione del Parlamento, rispetto al Capo dello Stato e all'esecutivo, che è stato determinato da venti anni in qua.

Perché dunque questa insistenza sul presidenzialismo? Per un miscuglio di ragioni. C'è la sostanziale incomprensione, come dire, inadeguatezza culturale di buona parte degli esponenti politici, a iniziare dal Presidente del Consiglio, che parlano di cose che evidentemente non sanno dove stanno di casa.
In parte, c'è una effettiva pulsione di alcune forze politiche, per esempio il Pdl, che pensa così di garantire definitivamente il suo leader, e non c'è da sbagliarsi su che cosa verrebbe fuori con una repubblica presidenziale retta dal Cavaliere come Presidente.
Poi ci sono alcune pulsioni di tipo autoritario nel PD, dove già la svolta del maggioritario nel 1993 aveva fatto nascere questa cultura politica del decisionismo in funzione finanziaria. In questo senso un passo avanti rispetto a Craxi, un passo avanti verso le soluzioni autoritarie naturalmente."

Fonte: www.cadoinpiedi.it

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